TESTO DELL' INTERVISTA :
CHI E' UNO PSICOTERAPEUTA BIOENERGETICO.
Cosa significa essere uno psicoterapeuta di formazione bioenergetica e quali sono le sue caratteristiche?La più adeguata definizione è “psicoterapeuta a mediazione corporea”. Ciò significa che la pratica della psicoterapia con un paziente avviene attraverso la mediazione del corpo, vale a dire che si pone una attenzione particolare e una centralità sul corpo e sul sentire, come una dimensione veramente individuale che si differenzia dalla dimensione linguistico-razionale . Attraverso il lavoro sul corpo associato ad uno sviluppo della capacità riflessiva si può accedere poi al mondo psicologico interno del soggetto.Dal versante della formazione dello psicoterapeuta, questo significa che oltre ad una preparazione psicologica e psicodinamica, lo psicoterapeuta a mediazione corporea ha approfondito per circa 5 anni(che è la durata del corso di formazione) la conoscenza del proprio corpo, ha lavorato sul suo corpo per renderlo più sensibile e in grado di percepire le sottili comunicazioni che il corpo del paziente emette, con un potenziamento della capacità di lettura del linguaggio corporeo e delle sensazioni emotive che ognuno di noi manda all’altro quando entra in relazione.Mi fa un esempio ?Esempio: quando due persone dialogano come ad esempio noi due, si esprimono con le parole ma contemporaneamente i loro corpi dialogano e comunicano assieme, con il tono della voce, con gli sguardi, con i gesti ,con il respiro, con le posture, con gli stati emotivi, con le sensazioni, ecc. Questo è un linguaggio che normalmente passa inosservato, in quanto inconsapevole, che sfugge al controllo razionale, e che noi tutti utilizziamo per relazionarci con le persone. Questo viene definito linguaggio, implicito, che potrebbe molte volte essere in contraddizione con quello che diciamo o appariamo: uno può sorridere ma i suoi occhi o il suo tono di voce sono tristi: quale è la verità di quella persona? Di qui si accede a quella parte non consapevole della nostra psiche chiamata inconscio; cioè quella grande rete neurale che agisce in silenzio influenzando o determinando molte delle nostre azioni.Dove e quando nasce la psicoterapia corporea?In poche parole, senza entrare nei particolari e semplificando un po', diciamo che L’ideatore è W.Reich, allievo di Freud che attorno al 1930,elabora una teoria ,che ipotizza la presenza di una forma di energia cosmica che pervade tutto l’universo, per cui anche la terra e tutti i suoi abitanti. Una visione naturalistica dell’uomo, in cui la società repressiva determina nel soggetto blocchi a vari livelli soprattutto a livello sessuale che limitano le sue potenzialità .Negli anni ’50 Alexander Lowen,(Immagine) medico americano, allievo di Reich, rielabora la teoria di Reich, portando delle modifiche e fonda l’attuale analisi bioenergetica. In sostanza Lowen coniuga la teoria energetica di Reich con concetti dedotti dalla psicologia dell’IO che si stava imponendo negli stati uniti.Lowen identifica cinque forme di carattere come una configurazione psico-corporea con la quale ognuno di noi affronta la vita. Ma l’apporto fondamentale che Lowen introduce è dato dall’importanza attribuita al sentire ed alla espressività del soggetto soprattutto riguardo alle emozioni.Attualmente è ancora valida questa impostazione?Come tutte le scuole di psicoterapia, anche la bioenergetica da qualche anno è in cammino per attrezzarsi al meglio per poter affrontare le nuove patologie e disagi psicologici della nostra contemporaneità. Nella società attuale, i cambiamenti rispetto alla società degli anni 50-60 sono stati enormi. Basti pensare a tutta la patologia attuale da dipendenza da internet, da sostanze, ma non solo, la forte incidenza di depressione, disturbi dell’alimentazione, stati di panico, stati dissociativi, personalità borderline, perversioni, sindromi schizofreniche. Ancora una volta è necessario porre il focus dell’attenzione alle manifestazioni della parte inconscia, come lo sono i sintomi che fanno star male il paziente, e la sua manifestazione principe che è il sogno con i quali l’inconscio comunica: teniamo sempre presente che la malattia mentale è una malattia dell’inconscio. Ma il corpo c’entra ancora?E’ ancora fondamentale, ma dobbiamo declinarlo in vari modi; è opportuno chiarire cosa si intende per corpo, infatti ad esempio si può differenziare il corpo biologico, quello che mangia, beve e dorme, dal corpo simbolico, quello che appare, la nostra immagine sociale.Mi può fare un esempio?Prendiamo ad esempio le labbra: vi sono le labbra del corpo biologico e le labbra del corpo simbolico: quando una persona si fa gonfiare le labbra con il silicone, perché lo fà? se poi molte volte queste labbra non chiudono nemmeno bene la bocca diventano a canotto e disturbano il parlare, questo significa che il corpo simbolico violenta quello biologico e le sue funzioni : questa è una imposizione data da modelli estetici stereotipati, ,imposti dalla società ,pensiamo ad esempio ad una caso come quello di Ken che ha subito fino a 30 interventi chirurgici per diventare come il fidanzato di Barby. Questo è un caso limite ma l’imposizione di un certo tipo di condizionamento sociale porta a violentare il corpo biologico. Attraverso la manipolazione del corpo simbolico l’uomo si illude di controllare il corpo ma non è così: il corpo biologico pone sempre un limite. La bioenergetica diventa importante perché da un lato contribuisce ad aumentare il livello di benessere psicofisico ma contemporaneamente aiuta a sentire la realtà del proprio corpo biologico con i suoi limiti e le sue fragilità, aspetti che favoriscono il vero rispetto dell’umanità dell’uomo prima di tutto nei confronti di se stesso e di riflesso anche nei confronti degli altri.Per cui il sentire diventa ancora più importante?Sicuramente, l’identità del soggetto si potrebbe dire che è costruito sulla sua capacità, ampiezza , consapevolezza e profondità del suo sentire. Il verbo sentire racchiude un’ ampia gamma di significati, si può dire che vi è un sentire verticale nella persona, che parte dal sentire le sensazioni, lo stato di benessere o malessere, gli stati d’animo, le emozioni fino ai sentimenti, ma vi è poi un sentire orizzontale, un sentire l’altro, le sue emozioni, il suo mondo interno fino al massimo livello del sentire, vale a dire considerare che l’altra persona è un essere umano che ha un valore in sé a prescindere da chi è, dal colore della pelle, se è ricco o povero. Questo percorso si può definire una crescita verso l’umanizzazione del soggetto. Purtroppo questo percorso di crescita molte persone non lo raggiungono.E quali sono le conseguenze ?Citiamo solo due aspetti fra i tanti che poi vanno a incidere pesantemente sulle relazioni umane1.la prevalenza del cosiddetto narcisismo, molto diffuso nella nostra società che è il veleno delle relazioni2.L’anaffettivitàIl narcisista nelle relazioni utilizza le persone per i suoi bisogni, l’altro viene trattato come un oggetto: io sto con te fin a chè mi servi, finchè soddisfi le mie esigenze quando non mi vai più bene ti cambio, come un oggetto usa e getta: relazioni usa e getta.Il narcisista è un anaffettivo; è insensibile verso tanti aspetti emozionali della vita. Questi due aspetti impediscono la possibilità di instaurare relazioni veramente profonde e significative.Infine diciamo che il cervello umano è e rimane sempre umano, e quando non è umano siamo di fronte alla malattia mentale: teniamo sempre presente che la malattia mentale è una malattia dell’inconscio.In che senso?Abbiamo sentito e sentiamo episodi di persone che un mattino si svegliano e sterminano moglie figli e vicini:si parla di raptus,di ritorno dello scimmione omicida che ci sarebbe in ognuno di noi.Ma non è così:si tratta degli effetti di una vera e propria malattia mentale,che seppur presente non aveva almeno apparentemente dato segnali nel comportamento del soggetto,infatti quando intervistano i vicini tutti dicono in coro:ma era una persona solare,salutava,una brava persona.Si apparentemente sembrava così ma dentro di lui si stava sviluppando una grave malattia mentale.La malattia mentale è la malattia dell’inconscio.Perché la bioenergetica può rappresentare una buona via per accedere al mondo interno delle persone?L’autoconsapevolezza corporea è il primo passo con cui si inizia.Nella pratica clinica si comincia il processo terapeutico aiutando i pazienti a notare e descrivere i vissuti del loro corpo: iniziando dalle sensazioni fisiche che sottendono alle emozioni come ad esempio, calore, tensione muscolare, fromicolio, senso di vuoto, ecc, si aiuta il paziente a prendere coscienza del proprio respiro, dei propri gesti, dei propri movimenti, facendo attenzione ai minimi cambiamenti corporei. Arrivando in questo modo a connettersi con se stessi sarà poi possibile connettersi con gli altri. Tale connessione avviene sempre attraverso la condivisione di stati d’animo, emozioni, stati coporei, sensazioni, pensieri, vale a dire attraverso una comunicazione inconscia, cioè questa vasta rete di connessioni su cui noi tutti poggiamo e che ci determina molte volte a nostra insaputa.
L'INCONTRO FRA DUE SOGGETTI
Lowen ha fondato una psicoterapia chiamata analisi bioenergetica ed è nel solco della psicoterapia che bisogna evolvere. La mind fulness è il sostituto delle classi di esercizi,non è una psicoterapia.Psicoterapia non significa mindfulness,nè sciamanesimo,nè rehiki,nè fiori di Bach. Al pari delle teorie di altre scuole la sfida consiste nel attrezzarsi ad affrontare i nuovi disagi psicologici,i pazienti difficili,come borderline ecc.Questa è la sfida che ci attende.
Alexander Lowen, padre della bioenergetica
La bioenergetica insegna a diventare più consapevoli di se stessi, ad ascoltarsi e volersi bene. Le persone tendono all'autodistruttività
Sono passati 45 anni dal suo primo libro Il linguaggio del corpo.Incontrandolo di persona nella sua casa di New Canaan, nel Connecticut, gli chiediamo subito che cosa è cambiato da allora.
Qual’è, oggi, il problema principale della gente? La bioenergetica può essere ancora utile?
La bioenergetica serve oggi quanto allora. La gente, oggi – ancora più di prima – non è in contatto profondo con se stessa. Quindi non è in grado di vedere davvero quello che succede negli altri, intorno, nel proprio paese, nell’universo. Per esempio l’Aids: la gente non si prende cura di sé, dei propri comportamenti sessuali, e tanto meno degli altri. E non si cura delle possibili conseguenze distruttive. Finché la gente non diventa più consapevole non c’è modo di cambiare davvero le cose. Del resto, il vero problema è appunto che la gente non vuole “sapere”. Non se ne cura.
Perché la gente è autodistruttiva?
Perché la sua vita è vuota. Non c’è gioia. Il problema sta in una sessualità che è troppo fare e troppo poco sentire. Proprio quello della sessualità è uno dei campi in cui oggi si esprime la differenza di mentalità tra le varie culture e visioni del mondo. Per l’Islam è un abominio l’immoralità dimostrata dall’Occidente, e gli americani con i loro costumi ne sono l’esempio principe. È una violazione non solo del Corano, ma della stessa Bibbia. Di fatto, manca negli uomini un vero senso morale; non c’è né in sé, né verso gli altri. Per questo, penso che una vera trasformazione è difficile, perché manca il senso della dignità, della moralità, del rispetto. Conta solo far soldi. E questo vale per tutto l’Occidente. Lo si vede anche in relazione all’ambiente. L’uomo sta distruggendo il proprio habitat senza possibilità di ritorno: oceani, aria, terra. Lo distrugge pezzo per pezzo, e non è una questione che si risolve con movimenti o associazioni, perché è qualcosa di molto più profondo, qualcosa di sbagliato dentro gli uomini.
Che cosa c’è di sbagliato?
Il fatto che la mente controlli tutto, sentimenti ed emozioni. Con la mente, gli uomini pensano: “posso fare questo e quello”, ma non ne hanno un vero feeling, non lo sentono. La gente non è sana. E anche quando fa qualcosa per sé, per esempio attività fisica, ginnastica in palestra, sport o altro non lo fa per stare bene, ma prevalentemente per essere più forte, più bella. Per l’immagine, ma non sente. Il sentire non c’entra con l’intelligenza, né con la forza. La bioenergetica aiuta a sentire e può insegnare a diventare più vivi.
I nuovi movimenti ecologici e spirituali non sono un segnale del bisogno di cambiare?
I movimenti di carattere spirituale, come la meditazione, non credo siano davvero efficaci se non vanno al cuore del problema, che è quello di lavorare sul corpo. Altrimenti è solo una questione di mente. Continuano a masturbarsi il cervello, per così dire, sia pure in forme diverse. In realtà, viviamo in una società dove tutto è troppo. C’è troppo rumore, troppo movimento, troppo stimolo. La gente impazzisce per questo, non la ha possibilità di fermarsi a sentire, e crede che la vita sia così, che non ci sia rimedio. New York è un po’ il simbolo di tutto questo.
In che cosa la bioenergetica si differenzia da altri approcci?
Non si può cambiare con la mente. Si cambia con il corpo. Va cambiata l’energia del corpo. Da dove il corpo ricava energia? Dal respiro e dal cibo. Ecco l’importanza di respirare correttamente e nutrirsi correttamente. Senza respiro non c’è energia, senza energia il corpo si contrae, non è pienamente vivo, ed ecco perché poi si ha bisogno di compensare con diversi meccanismi. Si cerca di essere più forti, più veloci, più belli. Ma l’unico modo in cui gli uomini possono imparare è attraverso il sentire, attraverso l’esperienza personale, fisica, concreta. Leggere un libro non basta, non serve a cambiare. Persino la bioenergetica, che pure ho coltivato per tanti anni: da sola non basta, se non si va a fondo, se non si va con l’energia nei propri piedi e nel cuore.
Signor Lowen, che cosa deve a Reich? Gli devo molto. È stato il mio maestro e il mio terapeuta. Non il solo, ma non sarei dove sono oggi, se non ci fosse stato lui. Alla fine della sua vita, non ci stava più tanto con la testa, su questo non c’è dubbio. Ma succede ai geni, e secondo me anche oggi ci vorrebbe un pazzo per vedere la follia della nostra cultura.
Direbbe che l’analisi bioenergetica sia stata il frutto del suo lavoro con Reich? Reich rimane il punto di partenza, ma fondamentalmente la mia terapia è stato un viaggio di autoscoperta: ho sviluppato l’analisi bioenergetica per applicarla a me stesso prima che ai miei pazienti. In fondo i problemi che avvertivo non erano così diversi da quelli di tanti altri.
Problemi risolti? Mai del tutto, ma progressivamente mi sono sentito sempre più in pace con me stesso.
Un buon risultato. Ma, per lei, è questo che vuol dire stare bene? Non proprio, o almeno non solo. Per me, stare bene vuol dire soprattutto avere un senso di vitalità e di allegria nel corpo, sentirsi a proprio agio. Ma per ottenere un risultato del genere, occorre un lavoro molto lungo, e a volte non basta l’intera vita.
La clinica bioenergetica ha la caratteristica di non basarsi esclusivamente sulla parola, ma di coinvolgere il corpo. Lei come risponde ai critici che non considerano “etico” toccare il paziente? La nostra è una terapia che ha la componente analitica verbale e il lavoro corporeo, e tende ad armonizzarli. Il terapeuta, per certi aspetti, rappresenta il sostituto di un genitore. Si può essere dei bravi genitori se si ha paura di toccare i propri figli? Io non lo credo, ma si può essere pessimi genitori, estremamente distruttivi, se toccare i figli assume connotazioni sessuali. Ecco, il terapeuta che non sa controllare il modo in cui tocca un paziente non dovrebbe mai farlo. Se i pazienti possono fidarsi di te, allora il contatto fisico non è una violazione della fiducia, se invece non possono fidarsi di te, non li toccare!.
Secondo lei, i terapeuti che fanno bioenergetica sono tutti ben formati e qualificati? Sfortunatamente no, non è così. Uno dei motivi è che ci vuole metà della vita per imparare come si fa la bioenergetica: non sono consentite improvvisazioni. Servono diverse esperienze che si acquisiscono lentamente, innanzitutto con il lavoro davvero interminabile su sé stessi, sui propri problemi. In ogni caso, non potrei mai convincere i miei detrattori, perché in realtà nelle loro critiche proiettano un’ansia profonda, procurata dall’idea stessa del contatto fisico.
Magari non tutti si sentono votati a una teologia del corpo, non crede? No, credo ci sia soprattutto una resistenza alla dimensione della corporeità. Per quanto mi riguarda, è importante parlare poco, quanto basta per capirsi, e concentrare gli sforzi sugli esercizi fisici, a cominciare dal modo in cui il paziente respira. È fondamentale che lo faccia correttamente, per il rapporto strettissimo che esiste tra le inibizioni psichiche e l’insufficienza delle funzioni respiratorie. Un paziente può raccontarmi la sua storia per anni, parlare a lungo delle sue difficoltà emotive, ma non è detto che comprenda mai quali siano realmente queste sue difficoltà, né che sia io a comprenderle, questo è il punto.
Qualcuno sta male e si presenta nel suo studio. Lei che fa? Certamente non gli chiedo qual è il suo problema, non subito ad ogni modo. Osservo il suo corpo per capirne l’assetto, se è sano o malato, se è vivo e vibrante oppure no. è questo che faccio, durante la prima seduta. Quando viene da me, il paziente parla, e intanto io lo studio. Cerco di localizzare i suoi problemi guardando i suoi occhi, il viso, le spalle, o anche i piedi, il modo in cui stabiliscono il legame col suolo, con la terra, quella che noi chiamiamo grounding che è la base stessa della vita, come le radici per l’albero.
Ma perché tutta questa diffidenza per la parola, per il Logos che non sarà forse alla base della vita, ma certamente della nostra cultura, e non è poco, non le pare? La nostra cultura non ci ha reso né più sani né più felici, e comunque se fosse possibile cambiare profondamente le persone con le parole, lo farei senz’altro, ma ho visto che le parole non bastano a trasformare le persone. Se stai male, puoi parlare quanto vuoi, ma è il tuo corpo che dovrà cambiare, con un lavoro che richiede molto, molto tempo. Solo se la tua energia corporea è più viva e forte, allora sì, è possibile un cambiamento.
L’ultima domanda è anche personale, ne faccia quindi l’uso che crede. Da qualche tempo lei ha perso Leslie, la donna che ha sposato a 32 anni, a cui ha dedicato molti dei suoi lavori. Siete sempre stati insieme. Le chiedo: cosa sorregge un essere umano di fronte a un lutto così grave? Insomma, che possiamo fare quando siamo davvero preda del dolore? Possiamo piangere. Anzi, dobbiamo farlo tutte le volte che avvertiamo un dolore, sia fisico che spirituale, perché altrimenti non ci liberiamo neanche un po’ dall’angoscia, e nulla potrà rendere meno acuto il dolore. L’unico modo immediato che abbiamo per superare gli eventi tragici della vita è piangere, esprimere il sentimento della sofferenza, liberare la tensione che è in noi, aumentando l’energia del nostro corpo. Ma non voglio sfuggire all’aspetto personale della sua domanda: è stato difficilissimo elaborare la perdita di mia moglie, capire che non le avevo dato abbastanza amore e sostegno durante il nostro matrimonio. Il dolore permane, ma nello stesso tempo oggi mi sento più consapevole e riesco a lavorare meglio su di me, sui miei sentimenti.
ALEXANDER LOWEN : L'ANALISI BIOENERGETICA
📷Ha 92 anni - li compirà il prossimo 23 dicembre - ma ne dimostra tranquillamente una ventina di meno Alexander Lowen, padre dell’analisi bioenergetica, uno dei più grandi psicoterapeuti viventi, allievo di quel Wilhelm Reich che fin dagli anni Trenta ha rivoluzionato la psicanalisi e per primo ha dato importanza al linguaggio del corpo oltre a quello verbale.
Lowen mi riceve in modo molto informale, accogliendomi in bermuda, camicia a maniche corte e sandaletti nel giardino della sua villa a New Canaan, Connecticut, dove circolano gatti, anatre e qualche gallina. Occhi blu come il cielo e straordinariamente penetranti, il fisico asciutto e scattante di chi ha messo sempre in pratica le proprie teorie sul rapporto tra psiche e corpo, sorriso di chi sa - e non lo ha soltanto scritto - cos’è la vera gioia. In casa, biblioteche a perdita d’occhio.Ci accomodiamo nel suo studio, dove riceve i pazienti (ne ha ancora): c’è un divano letto, oltre a un paio di poltroncine, un cavalletto bioenergetico, uno specchio.
Che cosa?
È sbagliato il fatto che la mente controlli tutto, anche i sentimenti e le emozioni. Con la mente, gli uomini pensano: “posso fare questo e quello”, ma non ne hanno un vero feeling, non lo sentono. La gente non è sana. E anche quando fa qualcosa per sé, per esempio attività fisica, ginnastica in palestra, sport ecc., non lo fa per stare bene, ma solo o prevalentemente per essere più forte, più bella. Per l’immagine. Insomma, non sente. Il sentire non ha a che fare con l’intelligenza, né con la forza. Ecco perché la bioenergetica può insegnare a diventare più vivi, più vitali E a sentirlo.
Il problema, dunque, si pone soprattutto in Occidente, e qualcuno comincia a capirlo. Lanew age è una sorta di risposta a questo bisogno di cambiare?
Dobbiamo stare attenti con la new age, perché comprende anche cose pericolose. Come il lasciarsi andare all’uso di droghe, ecc.. Quanto ai movimenti di carattere più spirituale, e che hanno a che fare con la meditazione, non credo siano davvero efficaci se non vanno al cuore del problema, che è quello di lavorare sul corpo. Altrimenti è solo una questione di testa, di mente. Continuano a masturbarsi il cervello, per così dire, sia pure in forme diverse. In realtà, viviamo in una società dove tutto è troppo. C’è troppo rumore, troppo movimento, troppo stimolo. La gente impazzisce per questo, non la ha possibilità di fermarsi a sentire, e crede che la vita sia così, che non ci sia rimedio. New York è un po’ il simbolo di tutto questo… per questo sono venuto via, qui nel Connecticut.
A proposito di New York, è passato un anno dall’11 settembre. Cos’è cambiato negli americani?
Bisogna intendersi sulla parola ‘cambiare’: se ci riferiamo a una vera trasformazione, che coinvolge tutto l’essere umano, mente e corpo, direi che non è cambiato granché.
Eppure è stato uno choc, un vero trauma… Come avrebbero dovuto cambiare? Diventare più consapevoli? Prendersi davvero cura di sé, o degli altri, o del mondo? Direi proprio di no. Per quanto traumatico sia stato quell’evento - un’esperienza di orrore e terrore -, il vero cambiamento richiede ben altro, un lavoro lungo, non una singola esperienza. Certo, molti hanno perso persone care, la casa, il denaro. Si può dire che alcuni hanno emozioni diverse, qualcuno è pieno di paura, o di rabbia, qualcuno è depresso. Ma non si tratta di una profonda trasformazione psichica che induca a nuovi comportamenti o stili di vita. Per cambiare davvero la gente deve avere una profonda comprensione della propria vita - rendendosi conto che non è piena né felice, che non sta bene - e deve lavorare su di sé, mettersi in gioco veramente.
Che differenza c’è tra orrore e terrore?
Ne ho scritto molto tempo fa, fin dagli anni Settanta. Nonostante siano usati come sinonimi, i due termini si riferiscono a esperienze diverse. Terrore implica un’intensa paura, che può riferirsi anche a pericoli immaginari e futuri. L’orrore implica un senso di choc di fronte a un evento raccapricciante. Ma mentre il terrore è legato alla reazione emotiva della paura per un pericolo diretto verso se stessi, nell’orrore tale pericolo è diretto verso altri. Nel caso dell’11 settembre, c’è chi ha provato l’uno e chi l’altro, ma soprattutto l’orrore. E l’orrore stordisce la mente: non è in grado di capire la logica o il significato dell’evento, non trova un senso, è incredibile, non è possibile che accada. All’epoca, trent’anni fa, sottolineavo come l’esperienza di orrore vissuta da un bambino piccolo, una sorta di incubo, possa determinare una scissione nella personalità e indurvi una qualità irreale, tipica del carattere schizoide. E sottolineavo come questo tipo di esperienza sia più diffuso di quanto non si pensi, tenuto conto che l’orrore, nell’infanzia, risiede già nell’assenza di contatto umano tra i membri della famiglia. Ma questo ci porterebbe lontano…
Torniamo a New York…
Sì. Vede, io sostengo che l’orrore - al di là di quell’evento tragico che è stato l’11 settembre - è molto più quotidiano. Ed è questo che la gente non capisce. L’orrore è direttamente proporzionale alla mancanza di sentimento umano nelle relazioni interpersonali, ed è un aspetto ben più importante della violenza dilagante cui in genere ci si riferisce. New York è emblematica. Io sono di New York, vi sono nato e cresciuto. Ma ai miei tempi la città non aveva il carattere impersonale che ha oggi. I grattacieli di cemento e di vetro possiedono una qualità irreale e il ritmo frenetico, l’attività incessante, i rumori, il traffico, la sporcizia sono un incubo, qualcosa da cui ci si dissocia per non vedere continuamente che è reale, perché è troppo. E tutto l’orrore che ci circonda entra nelle nostre case, con radio e tv, oggi anche internet. E non lo vediamo nemmeno più come tale, perché se lo vedessimo impazziremmo. E ancor più grave è la perdita di valori umani. Il valore che conta, a New York, è il denaro. Per questo è un simbolo.
E le Torri…
Erano il simbolo del simbolo. Ricorda un altro esempio di torre crollata? È nella Bibbia. Ed è incredibile quanto la gente non ci pensi. Perché Dio ha fatto crollare la torre di Babele punendo gli uomini? Per la loro presunzione, il loro orgoglio. Be’, gli uomini non sono cambiati. Vogliono essere come Dio. Ed ecco che le loro torri crollano, questa volta per mano dei terroristi.
I terroristi come Dio?
In un certo senso sì: ognuno ha il proprio orgoglio… Il punto è che c’è una fetta di mondo - per esempio, appunto, quello islamico - che pensa che gli americani sono interessati solo al denaro e al sesso. E li odiano per questo. E lo vogliono distruggere, nella misura in cui gli americani si ostinano a vendere questo loro modo di vita, a diffonderlo con ogni mezzo, a imporlo al mondo. Gli americani non lo capiscono. Non voglio dire ovviamente che questa sia una buona ragione per far crollare i nostri grattacieli, ma è pur vero che la gente non vuol vedere le cose sotto questo aspetto. E invece io ritengo che quello che è successo si ripeterà, in forme forse diverse, ma sempre tragiche.
Che cosa si può fare, dunque?
Certo non continuare a portare la guerra ovunque - né in Afghanistan né in Irak. Una politica militarista è destinata a condurre l’America verso altre ripercussioni, verso altro odio e altra violenza. Bush, subito dopo l’11 settembre, è stato visto come il ‘padre della patria’, ma se si ostinerà a voler fare il generale più che il presidente, non potrà che perdere consensi, a livello interno e internazionale. E l’America con lui, purtroppo.
Ma gli americani capiscono questo odio?
Sì e no. Hanno difficoltà a capire mentalità profondamente diverse dalle loro. E soprattutto, quello che manca è un profondo senso morale, verso di sé e verso gli altri. Che non c’entra con l’orgoglio ferito, o con il nazionalismo. Intendo il senso della dignità, del rispetto di sé e altrui. Il vero problema dell’uomo è la sua tendenza all’autodistruzione, sia a livello personale sia a livello planetario. E questo vale non solo per l’America, ovviamente, ma per tutto l’Occidente.
Cosa pensa dei no global?
La questione morale non si risolve con i movimenti o le associazioni. Si tratta di qualcosa che non va dentro di noi. Gli uomini pensano di risolvere tutto con la mente invece di ‘sentire’. Ma il sentire non ha a che fare con l’intelligenza o con la forza. Chi non è più in grado di sentire è malato. Solo lavorando su di sé, sul proprio corpo - grazie al quale l’uomo ‘sente’ - può curarsi e aspirare, come è sacrosanto, a una vita sana, libera, felice. Ed essere in grado di amare veramente. Vede, con mia moglie, per esempio, ho vissuto felicemente per 60 anni. È morta da poco, ed è stata una compagna meravigliosa. Ma per amare bisogna essere consapevoli e responsabili di sé.
Lei prima parlava di New York. Ci è sempre vissuto?
Sono nato a New York nel 1910 e ci sono vissuto sempre, fino a quando nel ’47 sono andato in Svizzera per studiare medicina…
Perché proprio in Svizzera?
Da un lato, perché ero troppo vecchio, a 36 anni, per iscrivermi a medicina in America (allora la legge non lo consentiva). Poi anche perché, essendo un allievo di Reich, ero ritenuto ‘pericoloso’, come lui. Lui veniva visto come una specie di ‘diavolo’. Eppure basta leggere i suoi libri per rendersi conto che non lo era. Quanto a me, sono andato a Ginevra perché parlavo francese. E ho studiato medicina perché volevo capire di più cos’era la malattia.
Come ha incontrato Reich?
Nel 1940, a 30 anni, con alcuni amici ho fatto un lungo viaggio in giro per gli Usa: ricordo che in quel periodo sentivo che c’era qualcosa che non andava in me, ero depresso, sentivo un gran vuoto. Sapevo di avere dei problemi a livello sessuale. Quanto ai miei genitori, tra loro erano opposti: mia madre era un tipo molto poco sensuale, era austera, controllata, spesso arrabbiata. Si vergognava della propria sessualità. E io avevo preso dai lei. Mio padre era invece uno che amava la vita, molto sensuale. Insomma volevo andare a fondo del mio problema, e nel settembre del 1940, alla fine di quel viaggio estivo, mi capitò di leggere un programma di corsi della New School for Social Researches di NY. C’era un corso dal titolo “l’unità e l’antitesi tra corpo e mente”: lo teneva un certo professor Reich, che era appena arrivato negli Stati Uniti dall’Europa. Quando lo ascoltai parlare capii che sapeva di cosa stava parlando. E che andava a un livello più profondo di quanto avessi mai sentito. Mi apparve molto brillante, dotato di una capacità di comprensione rara. Così mi iscrissi al suo corso. All’inizio ero scettico, ma quando cominciai la mia terapia con lui la mia vita cominciò a cambiare. Per questo decisi di laurearmi in medicina e di lavorare come ‘doctor’, come terapeuta: non solo come psicologo, che lavora a livello di psiche, ma come uno che lavora sul corpo e sulla psiche.
E poi? Com’è finito il suo rapporto con lui?
Ho lavorato con Reich per 4-5 anni e il nostro è stato un rapporto vario. Alla fine della sua vita Reich ha avuto un sacco di problemi, e forse è andato un po’ fuori di testa. Aveva dei conflitti interiori di cui non era mai riuscito a venire a capo. Reich aveva, direi, un problema di tipo narcisistico, e non era riuscito a risolverlo, ma non glielo si poteva dire. Era un uomo molto brillante, indubbiamente, ma anche lui era troppo ‘nella testa’. Del resto, è una cosa che ci riguarda un po’ tutti, non essere connessi con la realtà, coi feeling. Reich era molto vulnerabile a causa del proprio background, dei propri problemi familiari. Tornato dalla Svizzera dopo la laurea sono andato a trovarlo a casa sua a Orgonon, a Rangeley nel Maine. Fu un incontro strano e l’ultima volta che lo vidi. Mia moglie era con me, ma lui mi chiese di non farla venire da lui. Lei era molto attraente, e lui preferì non incontrarla. Può sembrare strano, ma aveva problemi con le donne, era facilmente soggiogato dalla propria sensualità. E poi Reich aveva intorno a sé un sacco di gente, spesso ‘piccina’, che lo circondava per interesse, ma non era capace di stargli dietro. Uno si è persino suicidato.
Molti ‘deboli’ erano attratti da lui, che era o appariva così forte, ma ne erano poi dipendenti. E lui non riusciva a vedere di sé che finiva col diventare una sorta di tiranno, per via del suo grande ego. Era in un certo senso prigioniero del proprio ego. Per questo me ne sono allontanato. Oltretutto, quando sono tornato dalla Svizzera e ho dovuto dare un esame per ottenere la licenza e poter praticare come medico ho avuto parecchi problemi. Essere legati a Reich era sempre un problema! Ma amo molto quello che ha fatto e teorizzato, è stato davvero un grande. Ricordo che mi disse: “Lowen, devi lavorare con l’energia della gente. I problemi sono sempre a livello energetico”. Penso di averlo fatto, e di essere andato oltre.
Chi sono oggi i veri discepoli di Reich in America?
Io! (ride) In realtà, c’è un College of Orgonomy. E fanno quello che chiamano ‘terapia orgonica’. Usano la macchina orgonica di Reich, però non si sa bene cosa facciano. Purtroppo, il movimento reichiano è finito. Il problema con i reichiani è che lavorano partendo da una grande, brillante idea, ma non sanno come portarla avanti.
In che senso?
I neoreichiani lavorano sul corpo, ma… O meglio, si ostinano a lavorare sul corpo partendo da categorie fisse, cominciano dagli occhi anziché dal grounding, hanno paura della realtà, della realtà del corpo, che ha feeling, mentre la mente non ha feeling. Quando il corpo sente, può anche essere molto doloroso, ma non per questo non deve sentire. In realtà il lavoro dei neoreichiani oggi non rappresenta il vero sviluppo delle teorie di Reich, mentre la bioenergetica lo è: non a caso, il termine è una combinazione di bio, vita, ed energia. Ha a che fare con l’energia vitale. Io lavoro con l’energia: se guardo un corpo, la vedo.
Si alza, mi mostra un poster alla parete che rappresenta un albero e un corpo umano a confronto.
Vedi? Ci sono tre aree differenti nel corpo, e se si fa un confronto con un albero, lo si vede bene: la testa, il corpo, le gambe, corrispondono a chioma, tronco, radici: il che conferma che la natura è sempre la stessa, anche se si manifesta in modo diversi.
In che cosa dunque la bioenergetica si differenzia da altri approcci?
Non si può cambiare con la mente, si cambia con il corpo. Va cambiata l’energia del corpo. Da dove il corpo ricava energia? Dal respiro e dal cibo. Ecco l’importanza di respirare correttamente e nutrirsi correttamente. Senza respiro non c’è energia, senza energia il corpo si contrae, non è pienamente vivo, ed ecco perché poi si ha bisogno di compensare con diversi meccanismi, o si cerca di essere più forti, più veloci, più belli… Ma l’unico modo in cui gli uomini possono imparare è attraverso il sentire, attraverso l’esperienza personale, fisica, concreta. Leggere un libro non basta, non serve a cambiare. Persino la bioenergetica, che pure ho coltivato per tanti anni: da sola non basta, se non si va a fondo, se non si va con l’energia nei propri piedi, e nel cuore. Guarda, ti faccio vedere come si fa a mandare energia nei propri piedi.
Lowen si alza, si mette in piedi davanti a me, in posizione bioenergetica di base, con le ginocchia flesse, e guardandomi bene negli occhi carica il peso con forza nelle gambe, fino ai piedi, ma sempre mantenendo una posizione rilassata e tranquilla.
Vedi i miei occhi? Sono più vivi, più brillanti. Faccio esercizi tutti i giorni, soprattutto di grounding. E lavoro molto con i piedi. Sono fondamentali. Fare grounding senza i piedi non basta. Bisogna premere così, non basta respirare andando su e giù con le ginocchia. Bisogna lavorare sui piedi, sentire il contatto con la terra. Spingere forte e respirare, ed emettere un suono, un ‘aaaaaaah’ prolungato. Se non si va con l’energia nei piedi, si va ‘fuori’ con la testa. Bastano 15 minuti ogni mattina. E’ incredibile come gli occidentali non stiano nei loro piedi: stanno ‘in’ piedi, ma non ‘nei’ piedi. Per muoversi usano le gambe, ma non i piedi. Mi ci è voluta una vita per capire questo: ho cominciato a studiare il grounding 50 anni fa, e oggi ho una nuova comprensione di tutto questo.
E con i pazienti come lavora?
Quando un paziente viene da me, gli parlo delle sue emozioni. Del fatto che respira male, che non dà energia al proprio corpo, che non ha grounding. E cominciamo a lavorare su questo. Anche il pianto è importante. Se si va a fondo con questo lavoro, si possono verificare dei cambiamenti. Ma non si può lavorare sul corpo partendo dalla testa, non funziona.
Ci vuole molto tempo?
Sì, è chiaro. Naturalmente poi dipende da persona a persona. Di certo, un’esperienza non basta, ma la gente a volte si spaventa. Non tutti sono disposti ad andare avanti. Bisogna andare per gradi, e cominciare dalla base, dai piedi, dalle fondamenta, come quando si costruisce un edificio. Non dagli occhi, come fanno i neoreichiani.
È importante lavorare tenendo conto dei diversi caratteri?
No, non importa poi tanto. Ho cominciato a lavorare con i caratteri, 50 anni fa, e ne ho scritto molto. Ma il rischio è di fossilizzarsi sui caratteri anziché considerare la persona, il singolo individuo per quello che è. Del resto, nessuno è un carattere puro. E nella mia esperienza, mi sono reso conto che c’è il rischio di schematizzare troppo. E poi ogni persona cambia, via via che l’energia cambia.
Ma il carattere si può usare come cornice...
No, non serve. Quando hai davanti una persona, c’è già quella, non c’è bisogno di darle una ‘cornice’. Se guardo te, ti vedo, e posso dirti come sei.
Sentiamo...
Bene, allora ti dico. Innanzitutto, sei una bella persona, hai una buona energia. Hai degli occhi espressivi. Ma hai problemi con il corpo. Spogliati, se vuoi, così posso vedere bene. È così che lavoro.
Mi spoglio e rimango in mutande davanti a Lowen.
Di base, la tua energia è buona, ma incasinata. La parte inferiore del corpo non è abbastanza caricata. Devi dare più energia al tuo corpo. E poi c’è paura nei tuoi occhi. Ma il problema più grosso è qui, nel sedere. Troppo teso, vedi quanta tensione c’è qui. L’unico modo per far qualcosa è lavorare sui piedi, soprattutto sui piedi e sul respiro. Ti faccio vedere al cavalletto
Mi mette sul cavalletto: braccia indietro, aperte; gambe con le ginocchia flesse.
Vedi, il petto è troppo gonfio, quando respiri l’energia non va fino al bacino e alla pelvi. E quando respiri prova a emettere un suono, aaaaah. Bisogna respirare molto, tre quattro volte, e poi fare un suono così, un aaaaaah prolungato, a bocca aperta, a gola aperta, e alla fine il suono dovrebbe trasformarsi in un colpo di tosse, che diventa addirittura un singhiozzo, e il pianto arriva. E va sempre bene. Senti le vibrazioni? Stai con queste vibrazioni. Vedi? Più che cercare di capire con la testa, è meglio sentire con il corpo.
Faccio come dice: il suono cresce, arriva anche la tosse, sempre più forte, e la voce diventa singhiozzo, e il corpo si scuote sempre più forte.
Le vibrazioni sono un processo terapeutico, di guarigione. Quando il corpo vibra, è presente. Bene, bene. Il corpo è molto più caldo adesso. Questo esercizio si può fare sempre, tutti i giorni, a casa propria, e se si abita in un appartamento, si può mettere la radio al alto volume… È stupefacente quanto velocemente funzioni, e si può farlo tutti i giorni.
Mi rimetto a sedere, sentendo molto caldo, vibrazioni in tutto il corpo e un senso benefico di energia e vitalità. Mi sento molto bene, dico.
Si vede. Fallo sempre, ricordati, a casa tua. È importante. E capirai da te quello che succede. Vedi, il tuo corpo appare strano perché la tua personalità è divisa fra una bambina piccola e una donna molto smart. La bambina è soft, è molto sensibile, ma anche molto impaurita. Ma il corpo è tuo amico, può essere spaventato ma è tuo amico. Devi avere sui 45 anni, più o meno, vero?
Ne ho 48, ma di solito nessuno lo capisce, pensano tutti che io sia molto più giovane…
Vedi, sono bravo a leggere i corpi (ride di nuovo). E comunque è vero, sei molto più giovane, è quella parte giovane di te, quella bambina che è in te. Tornando al carattere, che ne pensa del carattere simbiotico di cui parla Steven Johnson?
Mah, come dicevo prima, io credo che lavorare solo sui caratteri oggi non abbia senso, è troppo intellettualistico. Oggi ci sono troppi che teorizzano un sacco, e poi non sono capaci di cambiare se stessi. Per quanto mi riguarda, se vedo un cambiamento nel loro corpo, allora mi fido di loro. Altrimenti no.
Ha discepoli, allievi? C’è gente che continua e approfondisce l’approccio con la bioenergetica?
Penso di sì. Ma non ne conosco molti, e in genere, ripeto, non mi fido di chi non lavora innanzitutto su di sé. Devi vedere il cambiamento prima di tutto in loro, nei terapeuti, altrimenti non vale. Ti stupirò con quello che sto per dirti: secondo me c’è un solo tipo di lavoro analitico corretto. E non è quello di dire che carattere uno è, ma di guardare attentamente il corpo e gli occhi della persona che si ha di fronte, e capire che persona è. Come quando ti dico che sei una persona che ha paura…
Lo so...
Bene, e devi riuscire a vederlo, perché se non lo vedi, non puoi fare terapia, non serve. Anche se è duro accettare la propria paura. Ma senza questa consapevolezza non si può cambiare o stare meglio. E se un terapista non vede subito come sei, non capisce i tuoi occhi, non vede cosa succede… Insomma, bisogna insegnare alla gente a guardare negli occhi ed essere in grado di vedere la paura, la tristezza, la rabbia. A guardare il corpo, e imparare da esso.
Ma la paura è qualcosa che non va mai via?
No, tutto può cambiare, tutto è in processo, è in trasformazione. Nulla è per sempre. Il problema è che quello che sperimentiamo da bambini è più difficile da cambiare, perché si struttura nel corpo. Ecco perché la cosa più importante da fare è lavorare sul corpo, per dargli più energia. Gli esercizi servono a questo. Così si può capire davvero: in inglese, non a caso, il termine under-stand, capire, comprendere, si riferisce allo ‘stare in piedi’. Non è significativo?
Come ha sviluppato i suoi esercizi?
Prima di lavorare con Reich, ero allenatore atletico e usavo fare esercizi ogni mattina. In un certo senso ero abituato a lavorare sul corpo, anche se con finalità diverse. Poi, naturalmente, ho capito la valenza diversa e ben più profonda della bioenergetica rispetto alla mera preparazione atletica. Nel mio libro sugli esercizi lo dico chiaramente.
Ci sono esercizi che vanno meglio per certi caratteri?
In realtà non proprio. Nel senso che tutti hanno gli stessi problemi: tutti hanno dei tratti orali, o masochisti, chi più chi meno. Come dicevo, concentrarsi sul carattere non è il giusto approccio. Bisogna guardare il corpo, e vedere dove ci sono i blocchi energetici. Parlare sempre di carattere fa correre il rischio di perdersi nella mente.
Ma nei suoi libri ha parlato molto di carattere...
Sì, all’inizio! Ma anche quando ho fatto terapia con Reich, tra il 1940 e il ‘43-44, Reich ha lavorato con me sempre sul corpo, non abbiamo fatto ‘analisi’ in senso classico. Ed è stato ok. Non abbiamo lavorato sul mio carattere, che è narcisistico, né lui ha lavorato sul suo narcisismo! Se si lavora sul corpo, si hanno risultati migliori. Se dovessi scrivere un libro ora, non insisterei sul carattere, ma sulle dinamiche energetiche del corpo, sul respiro, sulla vibrazione, sul grounding. Questo non significa che non si debba dire ai propri pazienti quali problemi caratteriali hanno. Ma non saranno in grado di cambiarli per il solo fatto di sapere che li hanno. Chi vuole teorizzare troppo, lo fa perché ha paura di stare nel corpo e preferisce stare nella testa. Visto invece che ci sono buone tecniche corporee, come quella che ti ho mostrato prima, meglio non parlare troppo…
Dal discorso di commiato al pensionamento di A.Lowen
Sono trascorsi quarant’anni da quando ho sviluppato l’Analisi bioenergetica dai concetti carattero-analitici di Reich, con l’intenzione di approfondire il lavoro analitico e di espandere le procedure corporee per rendere efficace la terapia. Ho focalizzato l’attenzione sulla respirazione, l’espressione dei sentimenti e l’abbandono sessuale all’amore come si manifesta nel riflesso dell’orgasmo. Questo programma conteneva una grande promessa e tutti noi, coinvolti nello sviluppo di questo nuovo approccio, credemmo di poter aiutare le persone a raggiunger in tal modo il pieno appagamento. Mi rattrista dover ammettere che l’analisi bioenergetica non ha esaudito tale aspettativa:come fondatore e guida mi sento responsabile di questo fallimento che è dovuto alla mia insufficiente comprensione della profondità della patologia che affligge gli esseri umani nella nostra cultura. Tale fallimento ha origine anche nella mia determinazione egotistica a ottenere risultati. Ma per me gli ultimi quarant’anni non sono trascorsi invano. Ho affrontato l’arroganza e la compulsività della mia personalità e ho imparato ad accettare la vita e a lasciarla scorrere. Ciò mi ha condotto a una comprensione del tutto nuova dei compiti terapeutici e del processo dell’analisi bioenergetica. Ho chiamato questa nuova comprensione arrendersi al corpo. Il fine dell’arrendersi è l’esperienza della gioia.
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